Il rapporto arbitro-calciatore visto dal Mental Coach

L’indomani di una giornata di calcio giocato può essere tracciato secondo due linee direttrici: analisi e critiche delle gare appena concluse. Il più delle volte, specialmente in Italia, focalizzate sulla gestione della partita da parte dell’arbitro.

Tante le dinamiche, all’interno dei 90 minuti, che vedono coinvolti calciatori e direttori di gara.

Ma quali meccanismi mentali si innescano nelle menti di uno e dell’altro?

Vediamoli insieme.

IL CALCIATORE

Il giocatore che si prepara per disputare una partita importante, deve restare focalizzato sulla propria prestazione. Sia durante la preparazione che durante il tempo di gioco. Il che è funzionale all’ottenimento del risultato prefissato.

Il tutto può essere riassunto dalle parole di Mattia Perin, portiere del Genoa, che, intervistato ai microfoni di Sky nell’intervallo della gara contro la Juventus, ha dichiarato: “Il risultato non possiamo controllarlo, la prestazione sì”.

È fondamentale quindi che il giocatore, in campo, resti concentrato sulla prestazione.

È inevitabile che, durante la gara, possano succedere cose non previste, come le decisioni prese dell’arbitro (elemento esterno).

La reazione del calciatore funzionale all’ottenimento del risultato deve essere quella di mantenere l’attenzione e restare focalizzato sulla partita, dando il minor valore possibile alla prestazione del direttore di gara.

Restando concentrato, il calciatore continua ad alimentare un pensiero positivo su come fare a esprimere al massimo le sue qualità, al fine di portare a casa il risultato e vincere la partita.

Al contrario, qualora il pensiero del calciatore si focalizzasse su qualcosa di esterno, il pensiero positivo si interromperebbe e il meccanismo finora analizzato si spezzerebbe, lasciando spazio a un pensiero negativo.

Il calciatore deve quindi restare concentrato sulla prestazione, nonostante l’arbitro.

L’ARBITRO

Il modello mentale dell’arbitro che vuole svolgere bene la sua attività, è identico a quello del calciatore.

Anzi, se per il calciatore il focus è sull’attività fisica, quello dell’arbitro è sull’aspetto mentale e sulla gestione della gara.

La prestazione, legata alla gestione del campo, ha una serie di componenti.

Molti arbitri, per esempio, danno valore alla partita che stanno disputando: un big match nasconde sicuramente più insidie di una gara meno importante, ma questi devono rimanere aspetti secondari.

Se l’arbitro ha come compito quello di valutare situazioni e sanzionarle, è indipendente dal tipo di partita. L’indice di rischio potrebbe essere più alto, ma l’attività dell’arbitro deve restare la stessa in ogni gara.

Per il direttore di gara, restare focalizzato sulla prestazione vuol dire restare concentrato su quello che succede in campo e su ciò che ne deriva.

Questo deve succedere a prescindere dalla presenza o meno di strumenti in grado di dare un feedback immediato al direttore di gara. L’arbitro non deve pensare al giudizio che potrebbe smascherare l’errore fatto. VAR e collaboratori devono essere strumenti a supporto dell’arbitro, non giudici.

Devono essere considerati un paracadute in caso di pericolo.

Con questo meccanismo l’arbitro sarebbe portato ad utilizzare in modo corretto e distaccato tutti gli strumenti a sua disposizione. L’arbitro deve scendere in campo e mettere al servizio dei calciatori la sua preparazione e la sua esperienza. Se non è sicuro della sua valutazione, può avvalersi di strumenti di supporto.

Anche i calciatori, però, devono fare la loro parte per facilitare l’arbitro: se il calciatore è il primo a criticare l’arbitro, è evidente che attorno al direttore di gara si creerà un clima di pressione.

Per garantire un livello eccellente di spettacolo e di sport è quindi importante che ciascuno rimanga totalmente concentrato sulla propria prestazione e su come eseguirla al massimo. Calciatori da una parte, arbitri dall’altra. Questo potrebbe essere un primo passo per per uno sport che regali sempre più gioie ed emozioni dimenticando polemiche e critiche.

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