Figli d’arte: qual è il miglior approccio mentale per il successo?

Daniel Maldini, Justin Kluivert, Federico Chiesa, Giovanni Simeone, Federico Di Francesco.

Sono solo alcuni dei figli d’arte che giocheranno la prossima Serie A.

Tutti gli occhi saranno puntati su di loro, per vedere se riusciranno a fare come (o addirittura meglio) dei rispettivi padri.

Ma essere l’erede di un grande campione non rende tutto più semplice. Anzi.

Per un giovane che ricalca le orme del genitore, ce ne sono tanti altri che si perdono negli anni o che preferiscono prendere le distanze dall’ambiente che ha visto eccellere il proprio cognome.

Essere un figlio d’arte, nel calcio e non, significa essere visto come il riflesso del padre.

In tutte le professioni, essere il discendente di un numero uno, vuol dire ereditarne, nella testa di tutti, il ruolo. Nel calcio il fardello di responsabilità si appesantisce di fama, successi e gloria guadagnati dal genitore.

Sul giovane inevitabilmente si creano delle aspettative, come se in lui fosse scontata e naturale la presenza di un gene che risponde al nome del talento.

È per colpa di questa situazione, che il percorso sportivo ma soprattutto mentale del giovane figlio di deve essere affrontato con maggiore attenzione.

Abbiamo sottolineato più di una volta l’importanza di avere un sogno da realizzare, un obiettivo concreto da raggiungere che ci accompagni per tutta la nostra carriera. Bene, per un figlio d’arte questo passo è estremamente delicato, perché l’obiettivo spesso gli viene assegnato dagli altri: anche lui, come il padre, deve arrivare ai vertici e raccogliere risultati importanti.

È questa la problematica più grande.

Quando mi fisso un obiettivo, lo faccio in base alle mie aspettative e alle mie doti, conscio di dove queste possano portarmi realmente. Il figlio d’arte non acquisisce facilmente questa lucidità, essendo condizionato dal pensiero degli altri.

Individuare un obiettivo mi permette di creare una strategia per ottenere i risultati. Ma se l’obiettivo non è mio e a questo aggiungo il dovere di dimostrare qualcosa (che magari non sono in grado di fare), questo meccanismo si inceppa.

Il figlio d’arte deve partire da un obiettivo personale, cercando di focalizzarlo con chiarezza, senza farsi in nessun modo condizionare dalla storia del padre.

Tutti i calciatori hanno un modello di riferimento ed è naturale che per i figli dei grandi campioni, questo coincida con la figura del genitore, ma è importante che il giovane ci arrivi da solo: può esserci il desiderio di ripercorrere le orme del padre, ma anche quello di staccarsi, trovando una propria dimensione o addirittura una propria strada all’interno dello stesso ambiente.

Sono tantissimi i figli d’arte che non sono esplosi. Non è sempre una questione legata alle capacità, ma anche all’individuazione dell’obiettivo personale, che può non coincidere necessariamente con la carriera fatta dal genitore.

Quello che dobbiamo ricordarci è che il figlio d’arte è un professionista, ma soprattutto una persona con una propria identità. Deve essere libero di scegliere il futuro da abbracciare.

Solo mettendo al centro la persona si riuscirà a costruire un percorso individuale volto al raggiungimento dell’obiettivo.

Un esempio? I figli di Paolo Maldini, Christian e Daniel: entrambi figli (addirittura nipoti) d’arte ma con due carriere diverse. Perché? Perché sono due persone diverse.

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