Perché il calciatore sceglie una piazza minore? La risposta del Mental Coach

Il calcio è passione e la passione, spesso, può portare a prendere decisioni incomprensibili.

Sono tantissimi i giocatori che, dopo una carriera ad alti livelli, scelgono di concludere in un ambiente minore. Tra tutti ricordiamo Roberto Baggio, che nel 2000, dopo aver vestito la maglia di Juventus, Milan e Inter, ha scelto Brescia per chiudere con il calcio giocato. Van Persie e Robben, invece, hanno deciso di regalare le ultime energie ai club che li hanno lanciati (Feyenoord e Groningen), mentre Antonio Cassano, per rilanciarsi nel 2007 dopo aver toccato l’apice della propria carriera nel Real Madrid, ha scelto di ricominciare da Genova, sponda Sampdoria. 

Sono tante e diverse tra loro le motivazioni che hanno spinto questi grandi campioni a fare determinate scelte. 

Quello che li accomuna è che qualsiasi decisione abbiano preso, ci fosse dietro sempre una motivazione precisa: c’è sempre un perché che ci spinge a fare qualcosa.

Più la scelta è fuori dall’ordinario, più questo perché è forte.

Spesso ai calciatori con cui lavoro dico: “se hai un perché forte il come lo trovi”.

Ho identificato quindi tre motivi che possono spingere un calciatore a scegliere, nel corso della propria carriera, una piazza meno prestigiosa. Ecco quali:

#1 Pressione

Un calciatore che sceglie una squadra di provincia, lo fa perché generalmente sente su di sé una pressione forte: aspettative, tifosi e risultati sono più agevoli rispetto a una piazza importante.

Sono molti i giocatori che, schiacciati dall’ambiente che ruota attorno a un club prestigioso, scelgono di vivere realtà minori, cercando di riapprocciarsi al calcio in maniera tranquilla e nelle condizioni di esprimersi al massimo in totale serenità.

Il passaggio da un top club a uno minore va letto, in questa circostanza, in maniera positiva: qui il calciatore potrà dedicare il suo tempo e il suo lavoro mentale al miglioramento delle proprie performance. Qui può pensare solo a giocare a calcio, senza pressioni e condizionamenti (soprattutto esterni) che possono portargli via tempo e distrarlo dal raggiungimento del suo obiettivo.

#2 Sentirsi competitivo

A volte, per una serie di motivi (tra cui lo scarso minutaggio in campo, infortuni di vario tipo o più semplicemente un’annata storta), capita che un calciatore renda sotto le aspettative. Per questo, nella sua testa, si fa strada il desiderio di rilanciarsi, per sentirsi ancora utile alla causa e fare la differenza. È qui che talvolta l’atleta sceglie una piazza più piccola per farlo. Un esempio lampante è quello di Manuel Locatelli. Il centrocampista al Milan ha vissuto annate al di sotto delle sue capacità. Per tornare ad essere un calciatore competitivo ha scelto di ricominciare da Sassuolo, per lavorare su se stesso con maggiore tranquillità.

È questo il concetto. Il desiderio di rilanciarmi e la possibilità di farlo in un ambiente con ambizioni inferiori mi dà la possibilità di concentrarmi molto di più su me stesso e sugli obiettivi della squadra.

#3 Sfida

Infine la scelta di un ambiente provinciale può essere in linea con il desiderio di vincere una grande sfida. È il caso di Marco De Marchi, difensore della Juventus, che nella stagione 1993/94 scelse di firmare con il Bologna (in Serie C) dopo aver vinto la Coppa Uefa con i bianconeri. Perché? La sua fu una sfida dichiarata. Dopo aver vinto in Europa, voleva riportare il Bologna in Serie A. Ci riuscì da capitano: con due promozioni consecutive e un settimo posto alla prima in massima serie.

Cosa accomuna questo tre motivazioni?

Il fatto che un calciatore debba lavorare su se stesso, contestualizzando le sue capacità e il suo lavoro nell’ambiente in cui vive. Per rendere al massimo serve equilibrio tra il desiderio di raggiungere un obiettivo e un contesto che permetta di farlo in assoluta tranquillità.

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