L’importanza della figura del Mental Coach nella mia intervista a Numero Diez

Negli ultimi anni il legame tra psicologia e calcio sembra essere stato sdoganato rispetto al passato. Al giorno d’oggi quanto è importante la figura del mental coach nel mondo del calcio?

“Ritengo che sia fondamentale. Molti calciatori, soprattutto di prima fascia, ritengono che dall’aspetto mentale dipenda l’80% della loro performance. I calciatori non possono allenare questo aspetto in maniera autonoma. Hanno necessità di un professionista qualificato, con delle competenze. Tuttavia, ritengo che il mondo del calcio si sia accorto solamente in parte di questa realtà. Non c’è stata ancora una piena presa di coscienza. Questo aspetto va trattato in maniera professionale, non da autodidatta.

Molti allenatori dicono quanto sia importante entrare nella testa dei calciatori, ma mai nessuno comprende dove reperire gli strumenti per fare questo. Credo che questa sia la situazione attuale”.

Quali sono le principali tecniche o strumenti utilizzati da un mental coach per curare l’aspetto psicologico di un calciatore?

“Vengono utilizzate tecniche legate allo sviluppo personale, come la programmazione neuro-linguistica. Alcune tecniche hanno una base neuroscientifica. Ci sono moltissime tecniche, come la respirazione e lo yoga. Poi ognuno si specializza sulle tecniche che predilige, che ritiene più idonee. Ci sono varie tecniche, sviluppate anche in altri ambiti, che permettono all’individuo di poter fare un percorso in prospettiva. Permettono di guardarsi dentro e fare un’analisi delle proprie potenzialità. Con questi strumenti è possibile tirar fuori anche quelle risorse a volte inespresse”.

Tra le difficoltà più comuni di un calciatore, sicuramente c’è la gestione della pressione, soprattutto nei più giovani. Come si lavora su questo aspetto?

“Credo che non esistano formule particolari per ottenere determinati risultati. Lo chiamo percorso di trasformazione. Non è quello che facciamo che fa la differenza, ma è quello che decidiamo di essere. Tutto è incentrato molto sulla identità della persona. È un processo di trasformazione, quindi io devo cambiare il mio modo di approcciarmi alle cose. Bisogna guardare le situazioni da punti di vista differenti rispetto a quelli a cui il mondo del calcio è abituato. Faccio un esempio. Quando analizziamo il passaggio dal settore giovanile alla prima squadra, vengono create aspettative grandissime che comportano la pressione. Quando un calciatore ha un’aspettativa molto alta, se non è preparato subentra la paura di perdere, la paura di sbagliare e di fallire. Con un determinato pensiero negativo, aumentano le possibilità di sbagliare. Per questo motivo, il primo step è disinnescare quella carica emotiva ed emozionale. Quando parlo del debutto in prima squadra, ricordo sempre che è semplicemente una partita, quindi poco in confronto ad un’intera carriera. Bisogna analizzare le situazioni da una prospettiva differente. In questo caso aiuto il calciatore a focalizzarsi sulla carriera, non sulla partita. Quella singola partita è semplicemente un tassello dell’intera carriera. Per alleggerire la pressione, bisogna contestualizzare quella partita all’interno di un mondo più grande”.

Quando un calciatore subisce un grave infortunio, oltre al classico lavoro per il recupero fisico, esiste un percorso riabilitativo anche per l’aspetto psicologico?

“In questo caso spesso utilizzo la proiezione di un futuro che ancora non esiste, la cosiddetta visualizzazione. L’infortunio è un ostacolo. Il tema su cui focalizzarsi è il rientro. In questi casi chiedo ‘che tipo di calciatore vuoi portare in campo al tuo rientro’. Aiuto il calciatore a crearsi quell’immagine. Attraverso il lavoro di riabilitazione, deve costruire quel calciatore che lui vuole portare in campo alla ripresa. Bisogna concentrarsi sul futuro, ed ognuno è il singolo artefice del proprio. Molti calciatori sono rimasti focalizzati su ciò che hanno perso, piuttosto che sul futuro”.

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