Il Mental Coach Civitarese: “Ibra oggi sta al Milan come Ronaldo sta alla Juve. Raddrizzerebbe il Diavolo”

Roberto Civitarese, Mental Coach di giocatori professionisti, è stato contattato dalla redazione di MilanNews.it, alla quale ha parlato in esclusiva del Milan da una prospettiva meno tecnico-tattica e più psicologica, toccando argomenti collettivi ma anche l’impatto di una individualità come quella di Ibrahimovic.

Il Milan ha una rosa molto giovane e dal punto di vista mentale questo può essere un handicap?

“La mia convinzione, quando si lavora coi giovani, è esattamente l’opposto. Cioè: il giovane ha l’handicap nella mancanza di esperienza. Ma c’è una serie di “plus” positivi, che ha anche l’Atalanta, per esempio: il giovane ha il desiderio di emergere, ha aspettative positive rispetto al futuro e l’inesperienza gli dà anche un po’ di incoscienza nelle situazioni che non ha ancora sperimentato. Non aver sperimentato situazioni negative non gliele fa avere nella propria testa, quindi secondo me l’unico handicap è l’inesperienza, ma è un dettaglio. Apro una parentesi: quando Conte ha parlato dell’esperienza di Sensi e Barella, ok. Ma che campionato stanno facendo? Ma non perché i giovani dell’Inter funzionino e quelli del Milan no: vale anche per Zaniolo, che mentalmente parlando è un fenomeno proprio perché vive questa spensieratezza e questa incoscienza tipica del giovane, mentre l’esperto, il giocatore navigato (ad esempio un Quagliarella) dice ‘Aspetta un attimo, non sto facendo gol: cosa succede? Perché io ho già vissuto questa situazione, ho lottato per salvarmi…’ e vanno a ripescare esperienze negative. Un giovane queste esperienze negative non ce le ha, ha entusiasmo. Mettiamoci nella testa di un giovane che arriva al Milan: il suo pensiero è ‘Cavolo, sono al Milan!”.

Collegandomi alla risposta da lei data, il periodo negativo che sta vivendo il club può influenzare le carriere dei giocatori giovani del Milan?

“La risposta è sì, perché se io giocatore giovane mi creo delle aspettative positive rispetto a un’esperienza importante che vado a fare (ossia giocare al Milan) e queste aspettative vengono disattese, nella mia testa si crea un limite, quello di pensare di non essere adatto, di non essere di questo livello. Perché è chiaro che io associ l’esperienza negativa al mancato raggiungimento di risultati. È evidente che questo possa sicuramente condizionare la carriera di un giocatore. Anche perché poi cosa succede? Se fossi un giocatore del Milan e il prossimo anno il Milan questo giocatore lo volesse vendere perché inesperto, non è che poi vada al Real Madrid. Quindi ciò materializza questo pensiero: “Non sono di questo livello, vado a giocare in una squadra di bassa classifica” e mi convinco che quello sia il mio livello. Se la domanda è se possa condizionare il futuro delle carriere dei giocatori, dico di sì”.

Come commenta la questione cellulare in spogliatoio? Pioli ha detto che fosse un’app per studiare l’avversario.

“Io parto da questo presupposto: arriva un momento in cui dal punto di vista mentale (quindi non tecnico) io debba entrare in partita. Io, con i calciatori con cui lavoro, faccio iniziare questa cosa già dalla sera prima: quando finisce la giornata, ci si alza la mattina successiva e se la partita è alle 15.00 o alle 20.45 per me è la giornata della partita. Tutto il resto lo considero una distrazione, perché un conto è l’aspetto morale (considerare se sia giusta o meno l’immagine che si dà ai tifosi), ma io non faccio questi discorsi perché ognuno è libero di fare quello che vuole. Io faccio proprio un ragionamento semplice: il mio cervello deve lavorare dei pensieri rivolti ai risultati che vuole ottenere. E siccome il risultato arriva alla fine di un processo, io devo stare concentrato sul processo, cioè su quello che serve per ottenere quel risultato. Il professor Giovanni Biggio, che è una persona con la quale io collaboro, è un neuroscienziato di fama internazionale, utilizza un termine che io copio da lui: lui parla di muscolarizzazione del cervello. Cioè, il pensiero positivo rafforza l’aspetto mentale, quindi cosa significa? Significa che io devo alimentare questo pensiero funzionale a quello che io voglio andare a fare in campo. Per me è folle che mezz’ora prima, un’ora prima o due ore prima io abbia distrazioni, che il mio pensiero esca da quella tematica e vada a pensare ad altro. Anche se si dovesse trattare di argomenti professionali, quali un rinnovo di contratto, ma che sono scollegati da quello che devo fare in campo. Quando si parla di concentrazione, l’etimologia di questo termine significa che tutte le mie attenzioni devono stare lì. Io devo spendere tutto me stesso lì dentro. Adesso abbiamo parlato del telefonino, ma io vado oltre: anche i discorsi che si fanno in spogliatoio devono essere funzionali a questo. Una delle cose che ho sempre sofferto, in ambito giovanile, è che quando i ragazzi giocano il sabato, in spogliatoio parlano di quello che faranno il sabato sera. Uno può dire che sia lecito che parlino di quello che vogliono e non faccio un discorso morale, non mi interessa. Ma tu devi stare in partita, è quello il punto. Proprio per allenamento del tuo cervello: devi vivere in modo emozionale quello che poi puoi fare in campo. Allora va da sé che se passa questo concetto, il telefonino in mano è una follia”.

Ibrahimovic dal punto di vista mentale basterebbe per raddrizzare questo Milan?

“Assolutamente sì. Ibrahimovic è uno che vive per il risultato. Tutto quello che è stato detto finora, Ibrahimovic lo vive in prima persona. Ed è in grado di trasmetterlo, perché è un giocatore esperto, che ha vinto e i giovani lo prenderebbero come riferimento. E anche tra i giocatori più esperti che sono al Milan, pochi possono dire di aver vinto quanto lui, anzi forse nessuno. È chiaro che così metterei nello spogliatoio un riferimento. Poi la società deve dire, deve dare questa impostazione. L’ho detto in una ospitata a Sky Sport: Ibrahimovic oggi sta al Milan come Cristiano Ronaldo sta alla Juventus: arriva CR7 e tutti i giocatori della Juve, anche i più esperti, lo prendono come modello. Ibrahimovic, lo dico serenamente, potrebbe cambiare le sorti di questo Milan. Ciò non significa dargli le chiavi, ma nel rispetto dei ruoli lui diventerebbe un riferimento. È un professionista di altissimo livello, un vincente e ambizioso, che ha voglia di rimettersi in gioco e che non ha voglia di andare a svernare e a guadagnare in una realtà dal punto di vista tecnico minore, come i Paesi arabi o in Cina. Lui pensa di poter ancora dare tanto e questo è chiaramente un segno di ambizione. Faccio fatica ad immaginare un Ibrahimovic che vada al Milan e che passeggi in campo.  Quindi sicuramente può dare tanto. Se Ibrahimovic sia la soluzione a tutte le problematiche del Milan io non lo posso sapere, ma sicuramente darebbe tanto di positivo. Mi permetta un esempio: quando Torres arrivò al Milan, quella fu una scelta tecnica ed economicamente compatibile con le esigenze del Milan, ma era una scelta molto sbilanciata dal punto di vista tecnico. Su Ibrahimovic non è neanche tanto solo un discorso dal punto di vista tecnico, che non è peraltro la mia professione, è proprio a livello di impatto di tutto quello che dicevo prima: concentrazione, del desiderio di raggiungere obiettivi. Infatti, sono convinto che, qualora arrivasse, fisserebbe degli obiettivi: tornare in Europa, piuttosto che fare 50 punti entro una certa data o altro. Sicuramente fissa un obiettivo e chi nello spogliatoio andrebbe a contestare un obiettivo? E qui si ritorna al concetto dell’obiettivo comune, condiviso. Io non penso che Ibrahimovic scenda in campo con l’obiettivo di dare il massimo e basta: lui vuole sempre i 3 punti”.

Come lo vede il Diavolo nel prosieguo della stagione? Si riprenderà o questo è il suo livello e il suo destino?

“Quando le cose funzionano bisogna implementarle, ossia fare le stesse cose, ma farle meglio. Quando non funzionano, bisogna cambiare. Quindi alla domanda, la mia risposta, nello specifico, è: se non avviene nessun tipo di cambiamento, le cose non possono cambiare ovviamente, perché se continuo a fare le stesse cose, ottengo gli stessi risultati. Il cambiamento deve essere efficace, come andare a prendere un giocatore come Ibrahimovic. Ma se io cambio l’allenatore, il colore della maglia o il numero dietro la schiena (perché adesso si parla anche di Piatek e del numero 9), io non ho cambiato niente di sostanziale. Non è il cambiamento fatto così a caso a risolvere qualcosa: va individuata la problematica e dare un segnale di cambiamento forte, che non è il cambio di allenatore. Quello è stato fatto, è un tentativo, ma io penso che non fosse quella la soluzione alle problematiche del Milan. Sicuramente, però, se non ci sarà nessun cambiamento, io vedo così il Milan, questo è il suo livello. Può migliorare qualcosina, perché il lavoro quotidiano ti migliora qualche aspetto, ma a livello generale il gruppo percepisce una sfiducia. Quello del telefonino, tornando al discorso, lo vedo come un desiderio di allontanarsi dal campo: meno penso al campo e meglio sto. Io ho lavorato con giocatori che, per come stavano vivendo le situazioni nei loro club, preferivano non giocare. Perché se non si gioca ci si scrolla di dosso responsabilità. Con queste premesse, non vedo segnali che possano far pensare ad un Milan che si rialzi”.

Fonte: MilanNews.it

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