Non dichiarare l’obiettivo? Un errore gravissimo. Il pensiero del Mental Coach

Non ci poniamo obiettivi, li vedremo più avanti, pensiamo a una partita dopo l’altra e a fine anno tireremo le somme.

Quante volte abbiamo sentito calciatori, allenatori, dirigenti e addetti ai lavori pronunciare queste parole.

L’inizio del campionato coincide spesso con il momento in cui i club fissano i traguardi da raggiungere a fine stagione. Molti però, a una totale chiarezza, preferiscono la scaramanzia, dichiarando a gran voce di non avere alcun obiettivo. Quella che però a prima vista può sembrare una furbata, può diventare molto facilmente una pratica sbagliata, se non addirittura l’anticamera dell’insuccesso. Ecco perché.

Innanzitutto bisogna distinguere due ragioni che spingono a non dichiarare gli obiettivi.

La prima è legata al fatto che dichiarare di non avere una meta definita per il proprio lavoro permette di non creare aspettative: affermare di voler raggiungere un traguardo importante e poi non riuscire a farlo porta l’interessato a essere passibile di critiche al primo passo falso. La paura di non farcela porta quindi a nascondere l’obiettivo. La seconda è legata, invece, al non volerlo rivelare. Voglio che il mio obiettivo non sia conosciuto. Prassi anche in questo caso non corretta, in quanto la possibilità del raggiungimento di un obiettivo passa in primis attraverso la sua condivisione: più coinvolgo persone nel raggiungimento del mio traguardo, più la possibilità di concretizzarlo aumenta.

Nella mia esperienza professionale mi è capitato spesso che un calciatore mi chiedesse come poter comunicare nel miglior modo possibile il proprio obiettivo a compagni, stampa e staff. La verità è che anche la sua comunicazione è piuttosto complessa. Ma questo lo vedremo prossimamente.

Adesso concentriamoci su chi non dichiara alcun obiettivo perché semplicemente…non ce l’ha.

Per spiegare quanto questa logica sia sbagliata, mi rifaccio a un esempio tanto semplice quanto efficace.

Pensiamo a quando saliamo in macchina per affrontare un viaggio. La prima cosa da fare è fissare la destinazione. La seconda è affidarsi al navigatore, che, dopo aver calcolato il percorso (attraverso alcuni parametri da noi indicati) ci chiede di scegliere quale tragitto fare. Terzo e ultimo passaggio: ci mettiamo in viaggio.

Se questi step li trasliamo al mondo del calcio, capiamo che non avere obiettivi rende il percorso molto difficile.

Non avere una destinazione già ci blocca al punto uno. Arrivare a mettersi in viaggio, così, è letteralmente impossibile.

Fissare un obiettivo, di qualsiasi natura questo sia, ci permette di definire una strategia, in base alle risorse a disposizione, che certamente mi porterà dove voglio arrivare. Mettersi in viaggio è che il lavoro da fare con questa strategia in funzione del raggiungimento dell’obiettivo.

E gli imprevisti? Anche in un viaggio possono esserci degli ostacoli. Il navigatore in quel caso non si blocca, ricalcola il percorso (ovvero trova una strategia alternativa) ma tenendo sempre a mente la meta finale.

Questo modo di fare, che risiede nella nostra impostazione mentale, nasce dall’importanza dell’obiettivo, che deve avere come caratteristica principale la motivazione che mi lega personalmente a quel tipo risultato. Lo stimolo è una conseguenza che scaturisce dalla realizzazione di quell’obiettivo. Per questo più il mio traguardo è importante, più trovo le energie per superare le difficoltà.

Se abbiamo colto questo meccanismo, apparirà evidente che chi decide di non fissare un obiettivo è esattamente come colui che decide di andare in mare senza rotta.

E quale percentuale di raggiungere il successo ha chi decide di agire in questo modo? Molto vicina allo zero.

Dobbiamo avere il coraggio di fissare obiettivi importanti perché dobbiamo avere la piena consapevolezza delle nostre capacità. Se mi fisso un obiettivo importante è perché ho la capacità di raggiungerlo.

Serve quindi assumersi le proprie responsabilità. Il tempo degli alibi è finito.

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